venerdì 7 giugno 2013

Black Moose Talks - Un nome che viene da lontano


Foto di Francesca Largaiolli

E' interessante sapere come i componenti di un gruppo decidono il nome da dare alla band. Ho sempre pensato che la scelta non fosse facile, ma credevo che fosse una scelta casuale,  per la sonorità, per l'attinenza con qualcosa, essenziale, breve e facile da ricordare. Niente di più sbagliato. Per i Black Moose Talks la scelta del nome racchiude una lunga storia, contenuta in un libro. Questo gruppo trentino formatosi nel 2012, si è già messo in evidenza entrando nella rosa dei finalisti del Concorso "Suoni universitari" oltre naturalmente ad essere uno dei 13 finalisti di Upload. Scopriremo dall'intervista che i Black Moose Talks fanno una musica "quasi rock" e che se non fossero nati a Trento probabilmente sarebbero sudditi di Sua Maestà britannica. La canzone presentata ad Upload parla proprio di una strana creatura di Liverpool...

Chi era Black Moose? Un capo indiano? A chi è venuto in mente il nome del gruppo e perché?
 

Foto di Francesca Largaiolli
Il nome ha origine da un libro dell’etnografo e poeta americano John Neihardt: Black Elk Speaks. L’Alce Nero di cui il testo raccoglie le memorie era un sciamano della tribù dei Lakota. John Neihardt si è preso il tempo, la pazienza e la cura di ascoltare Alce Nero per mesi, ha annotato con gran dedizione le sue testimonianze e le ha pubblicate con coraggio e non senza perplessità. Alce Nero ha infatti una retorica molto particolare e non sempre “scientifica” quanto ai contenuti, di difficile comprensione per le menti occidentali: servono apertura mentale e un po’ di follia.
Il nome in sostanza racchiude un duplice invito: rivolto a noi del gruppo perché non pensiamo che, come nella maggior parte delle produzioni moderne 1 e 1 debbano per forza fare 2, che tutto debba seguire un canone, che ogni passaggio debba essere riconducibile a questo o quel clichè musicale, che tutto debba sempre necessariamente essere ragionato fino alla perdita del senso originario. Rivolto all’ascoltatore perché, nell’infinità quantità di musica a cui è esposto (volontariamente e non) si prenda il tempo, la pazienza, e il silenzio di ascoltare la nostra musica senza preconcetti, si lasci trasportare se la cosa lo coinvolge. In caso contrario, nessun problema, erano solo le parole di un visionario a cui si può dare retta come no.
Unico “inghippo”: esiste già un gruppo che si chiama Black Elk Speaks, quindi abbiamo utilizzato il termine americano moose (equivalente del britannico elk) e sostituito speaks con il simile talks. Volevamo conservare il concetto alla base del libro salvando l’originalità del nome del gruppo.

Quando vi siete avvicinati per la prima volta ad uno strumento musicale? Per voi musicisti il verbo suonare viene subito dopo mangiare, bere, dormire? O meglio, diventa una irrinunciabile azione quotidiana? 

Ci siamo tutti avvicinati alla musica attorno ai 11-12 anni. Per noi suonare è fondamentale, è il modo che abbiamo di esprimerci. Personalmente l’atto fisico del suonare è irrinunciabile, anche se non è sempre possibile suonare ogni giorno come vorremmo, a causa degli impegni che tutti noi abbiamo e che esulano dall’ambito musicale.
 

Foto di Enrico Pretto
Quest’anno siete stati finalisti al concorso suoni universitari, adesso siete finalisti ad Upload 2013. Avete formato il gruppo nel 2012, componendo subito dei pezzi originali, eppure non siete dei novellini. Raccontateci le vostre precedenti esperienze musicali.

Non siamo esattamente nuovi dell’ambiente musicale trentino, anche se a lungo andare quando la tua “carriera” è solo gavetta ti sembra sempre in qualche modo di avere incominciato ieri. Marco e Lorenzo suonano anche negli Humus, Mauro suona con un numero indefinito di gruppi (tra cui i Five Seasons e Bad Dog), Alessio ha suonato nei Geisha e nei Vetrozero.

Il vostro genere musicale è il rock: ma quale tipo di rock? Quali sono i gruppi che amate particolarmente e ai quali vi ispirate? Il vostro suono risente di queste influenze musicali?


Spesso ridiamo pensando al modo in cui vengono presentati e catalogati i gruppi. Su certe riviste o a volte si leggono cose incredibili del tipo: “Prendete Bob Dylan e fategli cambiare il catetere a Johnny Ramone; aggiungete al simpatico quadretto Frank Sinatra che serve dell’assenzio in ceramiche di Boemia del Settecento: solo così avrete un’idea del suono dei............”. Per tenere fede a questa discutibile tradizione un amico ci ha definiti i “Travis con un dito nel c*lo”, nel tentativo di descrivere la nostra caratteristica principale: una certa ostinata melodia del tipo “ci sarebbe piaciuto l’idea di essere sudditi della Regina, ma i biglietti per Liverpool erano finiti”. Quella melodia però non esclude la “mano semi-pesante” che ci consente di definirci un gruppo (quasi del tutto) rock. Le band che ci piacciono sono molto diverse: Deep Purple, Snow Patrol, Motorhead e Neil Young tra i tanti.

Siete una giovane formazione, che sta aumentando il numero dei pezzi originali nel proprio repertorio. Avete in programma a breve la registrazione di un ep o un cd?

Vogliamo senza dubbio registrare qualcosa, non sappiamo ancora che forma potrà prendere la cosa, dipenderà dai soldi e dal tempo a disposizione.

Foto di Enrico Pretto
Anche voi avete fatto la scelta di cantare con testi in inglese. Potete dirci di cosa parlano i vostri testi? A cosa vi ispirate?
 

Il testo di Stuart Molloy parla di una creatura che vive nella laguna di Liverpool. Un giorno emerge dalle acque per raggiungere il locale dove stanno suonando i Fab Four. Realizza il proprio sogno suonando con la band, ma al ritorno alla laguna viene ucciso a sangue freddo. È una canzone in cui si mescolano sogni, ossessioni, ascesa e caduta in 3 minuti. In altri brani si parla di riscatto personale, di noia, premi Nobel e dell’idea di ritornare ai Sessanta.

Vi piace partecipare ai contest musicali, perché?

 I concorsi musicali (quelli organizzati seriamente) sono interessanti e ci danno la possibilità di suonare, di metterci alla prova, di essere giudicati, criticati, compresi o incompresi. È un modo simile a molti altri per sentirsi “in corsa”.
 

Sta per iniziare la stagione dei grandi concerti all’aperto. Seguite la programmazione dei concerti e dei festival dove si esibiscono anche band internazionali? Ci sono dei festival in provincia o regione che ritenete siano organizzati molto bene e ai quali vorreste partecipare come band di apertura o come spettatori?

Seguiamo quello che accade “in cima alla piramide”, riusciamo a seguire almeno un paio di “concertoni” all’anno. Rafanass, Sot ala Zopa, Shool’s Out sono posti in cui sarebbe bello suonare.



Nessun commento:

Posta un commento